Per chi non vi ha partecipato direttamente, appaiono ancora più evidenti nella loro oggettività il livello alto di disinteresse della politica, della economia, della informazione all’evento, almeno nel nostro Paese, e il fallimento, sul piano dei risultati concreti, della Conferenza sul Clima tenutasi a Durban; dati questi chiaramente meno sensibili per coloro, istituzionali e non, che sono stati presenti ai dibattiti, agli incontri, alle presunti mediazioni sul conseguimento di risultati inesistenti e che vengono propagandati come vittorie. Come si può essere soddisfatti, come lo è il ministro Clini quando afferma: “siamo usciti dal cono d’ombra di Copenaghen”? Quali sono, difatti, i cosiddetti risultati? L’approvazione di una “tabella di marcia” che porterà all'adozione di un accordo globale salva-clima entro il 2015, per entrare in vigore dal 2020!
Nessun accordo vi è stato su un piano concreto di riduzione, a partire da subito, delle emissioni, tenendo conto della crescita impetuosa della CO2 passata dalla concentrazione media nell’atmosfera di 356 ppm (parti per milione) della Prima Conferenza di Rio del 1992 ai 390 ppm di oggi e con previsioni di innalzamento medio della temperatura del Pianeta (confermato in pieno da quanto avvenuto negli ultimi anni ed in particolare nel 2010), in maniera progressiva nel corso del nostro secolo fino a 6° con le catastrofiche conseguenze annunciate da molti qualificati studi scientifici. Né chiaramente tale fondamentale limite viene minimamente superato dall’accordo per un accordo per il Kyoto2 dopo il 2012, anno di scadenza del Kyoto1, giacché mancano obblighi, vincoli, organi internazionali di controlli consensualmente concordati ed accettati, che si sarebbero dovuti approvare a Durban come nelle precedenti Conferenze.
Il decadimento politico della Conferenza e conseguentemente dell’attesa e dei risultati concreti per la Umanità ed il Pianeta è evidente nella mancata partecipazione ad essa dei Capi di Stato -a partire naturalmente dal nostro- che invece avevano sempre caratterizzato le precedenti edizioni, riducendo in tal modo la portata della Conferenza a questione tecnica, settoriale di specifica competenza dei Ministri dell’Ambiente, come se l’ambiente fosse un aspetto tecnico!
Abbiamo naturalmente appieno la consapevolezza che le cose vere che stanno, o meglio dovrebbero stare, nella Conferenza sul Clima sono le questioni del Modello di Sviluppo, di Società, di Cultura, dell’Ordine Mondiale del Potere, tra gli Stati, tra le Persone e le Classi Sociali negli Stati, tra la Generazione Attuale e quelle Future, tra l’Umanità ed il Resto del Sistema Vivente, la Biodiversità e la stessa Identità del Pianeta; le posizioni e le decisioni che vengono prese hanno questa sola, vera matrice originaria, questo noumeno, e la Conferenza, quella di oggi di Durban come le precedenti, è sostanzialmente momento di dichiarazioni, non sincere, di buona volontà od anche almeno come avvenuto fino ad oggi di Atti, Protocolli che ognuno sa che non rispetterà e che non verrà rispettato da nessuno.
Ciò nonostante tutti sanno che il “Clima”, ovvero i suoi cambiamenti fuori dalla sua naturalità, sono la conseguenza della globalità delle azioni dei singoli Paesi, ovvero che l’azione di un Paese ha conseguenza su qualsiasi altro, ivi compreso il proprio. Più intense sono state o sono le azioni disturbatrici dell’equilibrio naturale (naturalmente intendendo tale equilibrio nella sua dinamicità) più scompaiono le frontiere climatiche. E’ questa la novità del modello di sviluppo attuale che impone comunque la necessità della “Conferenza”, perché ognuno può trovarsi nella catastrofe.
Ma gli insuccessi o ancor meglio la inutilità delle Conferenze, così come pensate e realizzate fino ad oggi, da tempo in realtà pongono la necessità di una riflessione generale sulla identità stessa della Conferenza, sulla sua impostazione e preparazione. Nel “Clima” vanno a ritrovarsi quale sintesi finale le materialità di tutte le politiche e le scelte dei diversi Paesi, delle Comunità e delle Individualità, nel contesto di tutto quanto per Natura sarebbe avvenuto. Il Clima, nella infinita complessità di darne una stessa definizione, è il risultato mutevole ed allo stesso tempo la causa generatrice della condizione di ogni luogo fisico della Terra; il Clima è sistema infinito e piccolo habitat, modificatore di spazi illimitati, di ghiacciai, di mari, e creatore di minuscoli regni di fiori e di vita animale; immenso e allo stesso tempo delicato e sensibile.
La Conferenza sul Clima dovrebbe perciò raffigurare il momento mondiale dello stato del clima, delle azioni fatte e di quelle che si intendono fare rispetto agli obbiettivi che la Comunità Internazionale si pone; con una relazione generale di tale respiro e chiarezza non potrebbe che essere il Segretario Generale dell’ONU - pur con tutti i limiti di autorevolezza e di riconoscimento internazionale che tale Organismo ha - ad avviare i lavori della Conferenza ed il relativo confronto. La relazione, i dati connessi, le proposte, dovrebbero costituire patrimonio informativo unificato per la Conferenza e per tutti i Paesi, le ONG, le Associazioni, i movimenti, le persone interessate ed impegnate nel Mondo.
Vediamo invece la realtà di oggi della Conferenza: il Segretario Generale dell’ONU, in fase avanzata dei lavori, fa un “semplice” intervento come tanti altri senza l’indicazione di un’analisi e di un percorso per l’intera Conferenza; nei quattro punti che indica per evitare il fallimento di Durban, sostanzia tutta la portata della sua azione in un messaggio - “ E’ in gioco il futuro del nostro Pianeta” - e in un appello a lavorare a soluzioni urgenti: messaggio ed appello entrambi ovviamente condivisibili ma insignificanti rispetto al ruolo che Egli ha.
Le informazioni in rapporto ai contenuti della Conferenza vanno cercate all’esterno di essa come nel “Manualetto per l’Uso della Terra” della UNEP (United Nations Environment Programme), di grande livello scientifico ma di ristretta portata rispetto alla interezza delle questioni o nei consueti Rapporti Annuali sulle performance climatiche dei maggiori emettitori di gas serra forniti da Germanwatch in collaborazione con Climate Action Network Europe; Rapporti funzionali a stillare proprie, interessate, classifiche secondo proprie valutazioni e ad acquistare potere di ogni natura per il possesso della conoscenza e che crea naturali dubbi sull’impegno di tali gruppi a battersi per una informazione ufficiale e trasparente nelle fonti e negli obbiettivi.
Emblematico rispetto alla verifica delle azioni svolte nel Mondo, in difesa del Clima è così l’intervento nella Conferenza del Ministro Italiano Clini, che dichiara grande disponibilità per il futuro, nascondendo le scelte attuali – che lo hanno visto protagonista primario quale Direttore del Ministero dell’Ambiente- quali quelle della drastica riduzione di risorse alle fonti rinnovabili e la via degli inceneritori quale soluzione del problema dei rifiuti! E’ in tal senso molto difficile da capire il plauso di alcune Associazioni Ambientaliste italiane al suo intervento a Durban.
In realtà la Conferenza di Durban, come peraltro le precedenti, è la Conferenza sulle Emissioni da Combustibili Fossili, che hanno naturalmente fondamentale rilevanza, ma che non sono però la sola causa delle variazioni climatiche: mi riferisco principalmente alla Deforestazione e più complessivamente alla Diminuzione del Verde del Pianeta, nonché alla modificazione profonda del volto stesso del Pianeta, che alterano i naturali equilibri tra assorbimento e riflessioni dell’irraggiamento solare. In una Conferenza sul Clima è scientificamente sbagliato non considerare, a parità di emissioni, l’incremento dei gas serra, principalmente della CO2, nell’atmosfera, per il mancato assorbimento di essi per processi clorofilliani. Di grande rilevanza dovrebbe essere perciò nella Conferenza la “sezione” legata a tale quadro sia sul piano planetario, con la indicazione della quantità e qualità della deforestazione tuttora drammaticamente in atto - per gli enormi interessi delle multinazionali legati ad essa - e dei vincoli e degli obbiettivi da porsi, sia sul piano locale; né dovrebbero essere trascurabili gli incendi boschivi, spesso di immani dimensioni con il duplice effetto della pesante emissione di gas serra e la riduzione del loro assorbimento per la riduzione del verde. Non ha senso, se non per ampliare l’imponente carrozzone convegnistico spesso legato all’ONU, tenere separate le questioni delle emissioni da quelle della deforestazione e della riduzione del verde del Pianeta, con due momenti totalmente distinti di discussione
Un approccio profondamente diverso, sicuramente più complessivo, va posto anche in rapporto alle emissioni : intanto attivando un percorso sullo smaltimento dei rifiuti, per i quali è possibile in tempi rapidi sostituire l’incenerimento con le relative, velenose emissioni con le tecnologie del riciclaggio e del recupero della materia; non certo in maniera marginale sulla quantità delle emissioni incide difatti la scelta dell’incenerimento dei rifiuti.
Occorre poi pensare a ribaltare i termini del binomio emissioni – combustibili “introducendo” negli obbiettivi di una seria “Conferenza sul Clima” la riduzione, programmata e crescente, della produzione e del consumo dei combustibili fossili; è difatti partendo da tale riduzione che diminuiscono realmente le emissioni. La ricerca di un accordo sul Clima non può eludere perciò da una parte questioni fondamentali sui luoghi della produzione dei combustibili, ponendo vincoli di divieto di ricerca e conseguentemente di non sfruttamento per aree delicate del Pianeta quali le zone polari, le grandi profondità oceaniche, le grandi foreste, e dall’altra sulla necessaria conservazione di significativa parte delle risorse fossili e della sua disponibilità proprio per la transizione ad un modello energetico fondato sul rinnovabile, impedendo una traumatica e profondamente incerta frattura tra due modelli in antitesi. Se ciò avvenisse si avrebbe lo scontro vero rispetto al molto di pura accademia che caratterizza oggi la Conferenza sul Clima, del tutto silenziosa rispetto agli immani interessi delle multinazionali dell’energia da fonti fossili.
Ed è in rapporto a tale percorso di riduzioni da fonti fossili ed allo svincolamento dal modello energetico e produttivo connesso che vanno attivati programmazioni e piani energetici alternativi, sul fondamento della rinnovabilità e dell’uso parsimonioso e ambientalmente corretto e compatibile del territorio. In tal senso ogni Paese aderente alla Conferenza sul Clima ha l’obbligo di presentare, in preparazione alla Conferenza stessa il suo piano energetico e la linea di progressiva riduzione del ricorso alle fonti fossili. Ha significato di aiuto reale ai Paesi a basso consumo di energie fossili, non l’acquisto di quote di inquinamento, ma contributi reali per la promozione di energia rinnovabile per il proprio uso interno.
Occorre dunque un percorso profondamente nuovo, impostato sull’insieme delle questioni prima dette, per dare significato vero alla Conferenza sul Clima; lottando e proponendosi verso una visione internazionalista di salvezza della vita stessa del Pianeta, della sua Identità e della sua Biodiversità, dal basso, ovvero in ogni Paese e in ogni sua articolazione territoriale occorre agire per il raggiungimento di concreti, tangibili, progressivi e crescenti risultati. Ciò deve avvenire anche in Italia; occorre perciò impedire che si crei una fumana di copertura su inefficienze o interessi diversi dietro generiche dichiarazioni di intenti, o ancor più su negatività vere o presunte di altri Paesi ed attivare una grande vertenza verso il Governo ed il Ministro Clini perché ciò che non ha fatto o ha fatto all’inverso come Direttore generale del Ministero dell’Ambiente, lo faccia come Ministro.
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